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04 2008

Le lune di Giove: Istituzioni in rete nelle trasformazioni produttive dell’Europa

Francesco Salvini

“Che parlassero con due
amici o a una pubblica
riunione si sentiva che stavano
tessendo una tela.
Entrambi erano infaticabili
tessitori di ragnatele ma ciò
che li rendeva estranei era che a
uno interessavano le mosche da
acchiappare per
rafforzare le proprie posizioni,
all'altro le ragnatele come
organi di collegamento
nel mondo degli insetti” (Nanni Balestrini).

 

Per pensare il concetto di istituzione-rete come forma emergente di cooperazione tra i movimenti, proporremo in questo articolo alcune domande sulle forme di organizzazione innovative e sui processi di trasformazione e cristallizzazione che hanno caratterizzato i movimenti nell’ultimo decennio, di fronte all’emergere di uno spazio comune a livello europeo, sia di dominio che di organizzazione delle lotte. In particolare ci concentreremo sui modi di congiunzione e contaminazione tra le differenti memorie politiche che hanno portato in questi anni alla permanente inven­zione di pratiche di organizzazione, senza l’ambizione di definire un quadro completo che ricostruisca la geografia molteplice dei movimenti, però con l’intenzione di situare alcuni eventi ed alcuni processi, di identificare alcuni cristalli di massa, e proporre dei vettori di attraversamento che servano per muoversi nella complessità senza annegarci dentro (Braidotti, 1994).

Come proposto da Raul Sanchez in un precedente articolo su questa stessa webzine consideriamo “che la tematica delle istituzioni presenti una attualità straordinaria nella sua relazione con la questione dei contropoteri sociali (e dunque politici) o, detto in altro modo, con il progetto di una rete di contropoteri capace di sostenere una dinamica, discontinua e imprevedibile, di esodo costituente dal complesso dispositivo capitalismo – governance – guerra” (2007).

Proponiamo per questo una prima definizione operativa di istituzione-rete, come istituzione sincronica di cartografia che procede per situazioni, mutandosi all’interno di geometrie variabili, costruendo nozioni comuni, laddove emergono intensità partecipate, temporalità convergenti e prospettive condivise tra movimenti sociali tra loro diversi, ma “componibili”. Contrapponiamo questa concezione di istituzione sincronica alla istituzione partito che definisce il proprio processo in termini diacronici e consequenziali, affidando ad una teleologia programmatica la definizione della proprie linee di sviluppo. Ciò non significa affermare che nelle istituzioni-rete scompaia il problema del programma, bensì che in questo contesto il problema cambi radicalmente ed assuma priorità una riflessione sulle questioni dell’organizzazione e della realizzazione: la possibilità tecniche di una fitta cooperazione sociale - attraverso dispostivi legislativi (possibilità associative transnazionali, canali di finanziamento), risorse informatiche (wetware e netware; Moulier Boutang, 2001), infrastrutture per la mobilità - arricchisce lo spettro di pratiche aperte ai movimenti nella costruzione di forme orizzontali  di pratiche istituzionali, ovvero pratiche attraverso cui definire quadri complessi e progettuali di articolazione comune di processi autorganizzativi.

 
Situarsi

In primo luogo, richiamiamo in termini generali le nuove forme della mentalità di governo che tentano di rendere continua l’eterogeneità dello spazio politico europeo. Ed in questo contesto indagheremo le esigenze che hanno spinto negli ultimi anni i diversi nodi dei movimento ad investire le proprie energie nei processi di rete. Perché a un certo punto abbiamo sentito il bisogno di spostare la nostra attenzione su progetti che accadevano in altri luoghi? Quali punti di connessione leggevamo? Esiste una relazione, e quale, tra il dibattito che ha attraversato in questi anni i movimenti sulla necessità – o meno – di riarticolare l’agire politico in funzione di una dimensione continentale del governo, e la crisi delle forme di regolazione della produzione sociale e di rappresentazione politica della società?

1. Se da un lato è emerso negli ultimi anni un progetto di governamentalità complessa e multiscalare (Dark, 2002; Agnew, 2002), che investe lo spazio europeo per rendere tra loro omogenee le politiche pubbliche nazionali, dall’altro questo stesso processo si sviluppa coinvolgendo territori e soggetti tra loro eterogenei, articolando questo spazio attraverso la polarizzazione di rapporti di forza preesistenti, costruendo alleanze trasversali, rapporti di dominio e dipendenza (Sassen, 2006). “Uno dei più importanti compiti che si pone il capitalismo contemporaneo è articolare radicalmente le eterogenee scale geografiche, politiche, legali, culturali nella dimensione globale dei circuiti attuali di accumulazione” (Mezzadra, 2007). In questo processo, la costituzione asimmetrica dell’Europa - visibile nella dinamica nord/sud e centrale nell’inclusione dell’est europeo - trova specchio nella polarizzazione permanente delle metropoli. In questo senso possiamo leggere come la produzione politica a livello europeo di criteri di convergenza (Maastricht: debito, deficit, inflazione, tassi di interesse), di nuovi regimi per l’educazione, per il mercato del lavoro e per le politiche migratorie (Bologna, Amsterdam e Bolkenstein, Schengen), si accompagni al ripetersi nelle città d’Europa di politiche urbane ricorrenti: gentrificazione del territorio, precarizzazione del mercato del lavoro, multiculturalizzazione sociale e messa a valore nei processi produttivi di facoltà umane come il linguaggio, gli affetti, la cooperazione, la differenza, la conoscenza. Questa nuova governamentalità procede segmentando lo spazio sociale, con l’obiettivo di “generalizzare la forma 'impresa' all'interno del corpo e del tessuto sociale [e] riprendere il tessuto sociale [affinchè] possa scomporsi, suddividersi, frazionarsi, non secondo la grana degli individui, ma secondo la grana dell'impresa” (Foucault, 2004).

Proprio in questo tentativo di frattalizzare lo spazio europeo, di imporre (con forme vecchie e nuove di violenza) su territorio e popolazione un stessa regola imprenditoriale (cfr. Harvey, 1989) per i processi di governo e sfruttamento delle relazioni sociali, appare nitida tanto l’eccedenza prodotta dai movimenti sociali così come i loro momenti di crisi: la debolezza nel resistere ai processi di attacco ai diritti sociali affermati nella fase fordista così come il riemergere di rapporti di dominio (per esempio all’interno delle forme organizzative classiche del movimento operaio), ma pure la forza e la creatività di dislocamento, nel costituire soggettività imprevedibili, aprire nuovi continenti, discorsivi e concreti, di produzione, in cui fare istituzioni comuni di gestione autonoma della ricchezza sociale.

2. Forse, o almeno personalmente, è a partire da una serie di esperienze diffuse di trasformazione del reale negli anni ’90, che scatta nei singoli militanti, ancor prima che nei movimenti, la necessità dell’incontro con altri soggetti in movimento su scala europea: non tanto per costruire un progetto politico condiviso, ma soprattutto per scoprire le memorie di resistenza e le molteplici forme di vita (di organizzazione e di azione) che sorgono negli anni ’90 nello spazio metropolitano europeo. Di fronte a processi ricorsivi di ristrutturazione del territorio, di trasformazione del lavoro, di crisi della rappresentanza, emerge in modo diffuso nella società il desiderio di tornare a pensare il futuro prossimo come possibile e aperto, non concluso dentro le regole neoliberali.

Se un momento cruciale nella possibilità di immaginare un nuovo inizio della storia è sicuramente rappresentato dal primo di gennaio del novantaquattro, è importante non dimenticare le memorie minori che dentro l’Europa ricominciano a mobilitarsi, trovando propri modi di essere, costruendo esperienze nuove e condivise, che si incrociano e si cercano. Scoprire l’inizio di questo processo non ha probabilmente senso: è sempre possibile muoversi a ritroso o verso un altro luogo e scoprire altre sorgenti di questo desiderio. Ma alcuni eventi possono aiutare ad orientarci. Nel 1991 a Venezia, l’International Meeting ‘contro l’Europa dei Padroni’ è uno dei primi momenti in cui militanti ed attivisti si trovano a discutere dei legami tra i processi che stanno avvenendo nei singoli territori, così come negli anni seguenti le prime mobilitazioni contro il G7 segneranno la biografia tanto personale come collettiva dei movimenti che arrivano dagli Anni di Inverno. Sicuramente dopo il 1994, con il levantamento zapatista, con le prime mobilitazioni chiamate su scala globale (Madrid 94) e il risorgere di un fitto dibattito tra i movimenti, nelle riviste, nelle fanzine ed aiutato dall’uso sociale della rete BBS (Scelsi, 1994), le ragnatele che attraversano l’Europa si infittiscono.

Il territorio europeo torna ad essere striato da viaggi, incontri, mobilitazioni, incoraggiati e sospinti dalla trasformazione globale, dalla necessità di analizzarla, dalla difficoltà di arrestare alcune dinamiche e di inventare forme di esodo costituente. Vanno comparendo una molteplicità di reti che sperimentano e lasciano sedimentare pratiche, linguaggi e forme di orga­nizzazione originali che ricominciano a tessere il rapporto conflittuale tra la sinistra autonoma e la sfera istituzionale, riaprendo il dibattito sulla relazione tra lavoro e reddito (gli scioperi in Francia nel 1995, AC!, le tute bianche, il dibattito europeo sulle Euromarches), sulla dimensione del soggetto in relazione alla crisi dello stato sociale (sulla sanità ActUp), sull’ambiguo e violento legame tra legalità, cittadinanza e diritti (Sans Papiers nel 1996, kein mensch ist illegal a Documenta nel 1997).

Un evento di svolta nella produzione di azione comune a livello europeo per i movimenti è la manifestazione contro la disoccupazione nel 1997 ad Amsterdam dove il movimento squatt, i centri sociali, lo zapatismo ‘europeo’, gli incipienti movimenti alterglobali, il sindacalismo di base e mille forme eretiche del movimento coinvolgono migliaia di persone in una viaggio che attraversa le frontiere di Schenghen. Per me, che non c’ero, questo viaggio si tinge di mito: dalle cinquecento, cinquemila, diecimila persone che occupano il treno a Milano, fino al ritorno da Amsterdam su una gigantesca insalatiera verde.

Ed Amsterdam rappresenta un momento di svolta a cui possiamo ricollegare il ciclo di mobilitazioni di Londra, Praga, Nizza, Davos, Goteborg, Genova. Attorno ed oltre questi momenti, tra il 1997 ed il 2001 People Global Action, indymedia, gli hackmeeting, i noborder camp sono laboratori vivi sia in termini formali sia per esperienze ed incontri che produrranno negli anni successivi processi di riflessione e mobilitazione sulla precarietà (EuroMayDay ed altri) o le reti di dibattito e azione per la libertà di movimento (come Frassanito Network, Fadaiat, Caravana para la libertad de movimento ed altri ancora).

 
Nozioni e disgiunzioni

Piuttosto che continuare in una dubbia genealogia ed un incompleto elenco delle reti di questi ultimi anni, proviamo ad indagarne i margini e proporre alcune nozioni comuni, come potenze in avanti aperte attraverso queste esperienze in rete. Ed anche a segnalare alcune terrae incognitae, punti di disgiunzione in cui ci sembra necessario costruire nuovi laboratori di invenzione politica ed articolare nuove sperimentazioni.

1. Il primo margine è quello dei luoghi dell’autonomia negli ultimi dieci anni: l’invenzione di nuove forme di organizzazione nel territorio (come ad esempio i centri sociali, gli info-shop, le campagne di union organizing ed altre forme di sindacalismo sociale) hanno rappresentato in Europa negli ultimi anni dei laboratori vivi ed in permanente espansione. È importante rinunciare ad una visione lineare di questi luoghi: ogni processo, oltre ad essere segnato dalla specifica dimensione territoriale, è marcato dalla storia politica del contesto, dal quadro istituzionale e legislativo, così come dalle dimensioni micropolitiche che determinano i comportamenti organizzativi, le temporalità dei movimenti, le sue strutture interne. È interessante in questo senso richiamare al­cuni esempi. Nel dibattito sull’organizzazione del lavoro sessuale c’è un interessante punto di disgiunzione interno ai movimenti: se infatti per molte compagne e molti compagni in Europa (ISWU, Licit, Hetaira, Comitato per i diritti civili delle Prostitute, MAIZ, Doña Carmen), l’inclusione del lavoro sessuale all’interno dello statuto ampio del lavoro garantito è una lotta necessaria per i diritti sociali e per la rottura dell’esclusione sociale, dall’altra parte Sonia Sanchez, che proviene da AMMAR Capital in Argentina, e Maria Galindo, di Mujeres Creando, sostengono la impossibilità di definire la prostituzione come lavoro per la violenza sessuale (fisica e simbolica) caricata sulle spalle delle donne che la praticano (Galindo & Sanchez, 2007). Eppure questa distinzione nasce da elementi di metodo comuni nell’analisi dell’esistente. Se la prima posizione infatti nasce in un contesto di esclusione dal welfare e di stigmatizzazione escludente (nei sindacati, nelle strutture dello Stato, nella morale lavorista e cattolica) e dalla necessità di affermare una presa di parola autonoma e pubblica delle lavoratrici del sesso, dall’altra la posizione di Galindo e Sanchez sorge nel contesto latinoamericano (in particolare di AMMAR) anche dalla necessità di rompere un rapporto di potere con i sindacati, riaffermando la autonomia delle prostitute, per rompere i rapporti di esclusione e monopolio della rappresentanza. Altrettanto variegata è la relazione dei luoghi dei movimenti in Europa con le strutture dello Stato, in cui i canali di relazione, incursione, cooperazione e finanziamento dipendono dalle geografie istituzionali locali: in Italia, la differenziazione dei poteri su scala locale e la distinzione tra politica e amministrazione, ha spinto negli ultimi anni i movimenti a riflettere ed agire il rapporto istituzionale soprattutto sul piano locale (comuni, province, reti dei nuovi municipi); nel Regno Unito invece le istituzioni accademiche ed i sindacati di categoria ricoprono un ruolo più significativo nei dibattiti e nelle strategie dei movimenti sia per il loro ruolo storico sia per la netta segmentazione delle forme istituzionali britanniche. Nella penisola spagnola la pratica istituzionale dei movimenti si muove molto spesso nei rapporti con le autonomie locali ed anche con le istituzioni culturali, ovvero istituzioni nate durante o dopo la transizione dal franchismo e definite in un contesto storico differente.

Con questi due esempi, vogliamo sottolineare come ricercando tendenze assolute nei processi di costituzione sfugga spesso la possibilità di leggere altri flessi comuni non necessariamente coordinati, significativi soprattutto nell’impossibilità di fissare una coerenza definitiva tra i diversi processi. Interpretare questi nessi sinotticamente, invece che sinteticamente, permette di riconoscere risonanze non solo tra i diversi progetti, ma, più in là, tra questi e le trasformazioni sociali, di cui i movimenti possono essere motore o semplicemente specchio. Fermarsi sulle linee tendenziali e comuni infatti non permette di evidenziare l’intelligenza pragmatica e situata che i movimenti mettono in campo nell’inventare le forme dell’organizzazione, così come nel definire strategie in rapporto alle gerarchie di potere e agli spazi possibili di cooperazione con le istituzioni. Leggere la duttilità e la componibilità dell’etica dell’autonomia in funzione del contesto è fondamentale per pensare i modi di costruzione di una istituzione-rete perchè è attraverso l’articolazione aperta tra questi modi di fare che è possibile costruire alleanze tra processi singolari in ogni territorio, ed elaborare cartografie tattiche che agevolino l’intervento quotidiano all’interno degli impervie strutture e delle cangianti micropolitiche della governance.

2. Un secondo processo su cui focalizzare la nostra attenzione riguarda la costruzione dei pro­cessi organizzativi comuni che hanno inventato nuovi paradigmi di connessione e traduzione di linguaggi e pratiche. Come già dicevamo la continuità dello spazio europeo è fortemente segnata da un esercizio di governo che tenta di ricomporre l’eterogeneità e ricondurre alla logica del valore la complessità di questo spazio di cooperazione sociale. Se guardiamo al lavoro vivo notiamo che quest’ultimo “viene investito e ‘catturato’ dal capitale attraverso modalità molteplici,  convergenti verso la produzione della propria dimensione globale. (…) Mentre il capitale articola la propria dimensione globale traducendo [il lavoro vivo] nel linguaggio del valore, noi dobbiamo pensare alla costituzione di un soggetto collettivo capace di trasformazioni radicali che partano dagli antagonismi e dai conflitti che definiscono ogni singolo momento di cattura” (Mezzadra, 2007).

La produzione “eterolinguistica” (Sakai, Neilson 2004, Mezzadra 2007) dei movimenti si da concretamente tentando di costruire linguaggi situati alla radice delle dimensioni antagonistiche del reale, capaci di muoversi da soggetto a soggetto, di tradursi da contesto a contesto. Questo processo implica la necessità di riconoscere in ogni situazione la pluralità dei linguaggi che si dispiegano e di territorializzare negli spazi sociali eterogenei la pratica ed il discorso, “pure in quelle che vengono normalmente pensate come [situazioni] ‘monolinguistiche’” (Solomon, 2007). Transform ad esempio costruisce ponti di comunicazione con le riflessioni politiche all’interno della produzione creativa (creative hypes, documenta correspondences), della dimensione istituzionale (instituent practices, e altre) e così via. Oltre a questo progetto, sono molte le forme in cui si è cercato di costruire legami con la sfera di produzione della comunicazione (nelle molteplici forme di Indymedia e affini), di intervenire attivamente nella trasformazione delle dinamiche produttive della formazione (il dibattito recentemente aperto da edu-factory e la rete delle Università Nomadi), di sperimentare e reinventare forme di organizzazione sindacale (EuroMayDay, Justice for Cleaners, Intermittenti francesi, Oficinas de Derechos Sociale), cosi come praticare forme di cooperazione internazionale orizzontali capaci di sfruttare la posizione europea nella geopolitica globale (le reti zapatiste europee, action for peace, caravana para la libertad de movimiento), e contaminare pratiche e linguaggi nelle lotte per la libertà di movimento e per l’universalità della cittadinanza (kein mensch ist illegal, noborder, frassanito, IWW).

La molteplicità e la complessità di queste reti, coi loro successi e i loro limiti, sfugge alla sensazione di soluzione definitiva dei conflitti, alla liscia retorica socialdemocratica dell’Unione Europea, ed ci permette di riconoscere le frontiere interne, le differenziazioni soggettive, le asimmetrie globali, le pratiche e le soggettività emergenti, ovvero quel complesso di pieghe, di conflitti e di antagonismi che popolano lo spazio reticolare europeo.

Eppure, come emergeva in una recente discussione tra militanti ed attiviste di diverse parti dell’Europa, se proviamo a rintracciare i campi discorsivi delle iniziative dei movimenti dal novantaquattro in poi, notiamo come l’intervento si concentra intorno alle parole classiche della regolazione sociale, del lavoro, a cui si connettono sempre più le sfere della comunicazione e della conoscenza. Nonostante l’attenzione teorica alle dimensioni della cooperazione sociale oltre il lavoro, il linguaggio (e le pratiche) dei movimenti sono ancora profondamente legate a queste sfere di intervento. Ci sembra per questo utile provare a ripensare, decostruire e riarticolare la “figura immaginaria” dei movimenti dentro la materiale complessità dello spostamento della produzione dal lavoro alla vita, scartando rispetto al pedissequo ricondurre i processi sociali di antagonismo esclusivamente alle dinamiche della produzione, ed assumendo la molteplicità dei campi esistenziali oggi coinvolti nella produzione e dunque lo spostamento del conflitto sul tentativo di sussunzione delle forme di vita emergenti nel linguaggio del valore. Scivolare lungo nuove dimensioni, significa dunque produrre un etero-linguaggio che dia carne a nuove linee di conflitto, che scopra cartografie nascoste in cui scatenare battaglie ed in cui utilizzare come potenza viva la parzialità del punto di vista dei movimenti sulle pieghe conflittuali dello spazio europeo per cercare nuovi sguardi e processi di soggettivazione altri ed autonomi. Per questo la capacità dell’istituzione-rete come strumento di connessione tra linguaggi differenti, di consolidamento di elementi comuni, di ricerca di ridondanze, permette di muoversi con maggior efficacia nella complessità della messa a produzione, come già detto, di fa­coltà umane come il linguaggio, gli affetti, la cooperazione, la differenza, la conoscenza.

3. Infine, un terzo margine lungo il quale riflettere, riguarda la contaminazione tra forme differenti di organizzazione politica. Negli ultimi anni infatti molte forme organizzative innovative sono emerse dall’incontro tra radici storiche e soggettive differenti, che hanno dato luogo a processi in mutazione. L’imprevedibilità di queste contaminazioni, legate alla comparsa di nuove soggettività generazionali, al protagonismo di eventi singolari, alle nuove dinamiche di produzione, alla composizione sociale e culturale prodotta dai flussi globali, rende sempre meno efficace pensare in modo diacronico e programmatico la strategia politica. L’accelerazione prodotta nella penisola spagnola dagli attacchi razzisti degli ejidos, e poi dall’ondata di encierros di migranti per ottenere la regolarizzazione nel 2001 e nel 2005, l’innovazione delle forme sindacali portata dalla migrazione del modello di union organizing a Londra o dalla comparsa degli intermittenti dello spettacolo come protagonisti sociale in Francia, o la comparsa di flash mob come VdeVivienda (in particolare a Barcellona) sono stati processi  che hanno sconvolto, oltre gli stessi protagonisti, i dibattiti e i contesti politici in cui situare il movimento. Allo stesso modo eventi come la guerra in Iraq o le immagini di Ceuta e Melilla del 2005, hanno imposto scenari potenti di intersezione tra trasformazioni dell’etica viva della società e l’azione politica autonoma. Molti avvenimenti, invece, pur se riconosciuti come centrali nelle analisi, faticano a produrre processi di contaminazione più profonda: è forse il caso delle reti degli afectados legate agli attentati di Madrid del 11 Marzo del 2004, che, dopo aver tentato di costituire una riflessione autonoma sulla dimensione sociale del dolore e contro la guerra, sono ora sempre meno legati ai movimenti ed obbligati negli schemi classici di destra/sinistra, complotto/giustizia, cosi come il fenomeno delle banlieue parigine, in cui l’assenza di voci ‘rappresentative’ classicamente riconoscibili, rende difficile una contaminazione oltre l’analisi, tra le rivolte urbane e l’innovazione delle forme di agire del movimento a livello europeo.

In questo senso, pensare l’istituzione-rete come forma sincronica di organizzazione dei movimenti significa inoltrarsi nell’indecifrabile, nei linguaggi ancora sconosciuti e scommettere sull’accumulazione e sulla connessione delle memorie minori che si aggirano per l’Europa, affinando processi di ‘traduzione’ per produrre nuove composizioni sociali capaci di smuovere le forme cristallizzate della politica, soprattutto quelle di base, e scatenare scosse micropolitiche nella società. In questo senso, ci sembra che molte cose stiano muovendosi e che una onda di fenomeni di politicizzazione impercettibili stia attraversando molti territori. Alcuni di questi processi sono visibili nella rete del progetto Ferrocarril Clandestino (www.transfronterizo.net), dove collettivi ed associazioni di attivisti migranti stanno aprendo spazi di dibattito non solo su come rivendicare i propri diritti nella dimensione istituzionali, ma anche su come produrre istituzioni e condividere strumenti di welfare autorganizzato e commonfare (Rodríguez, 2003) (condivisone di informazioni legali, autogestione di spazi di cooperazione e così via). Allo stesso tempo a Madrid la riflessione portata avanti da tempo sulla dimensione della cura e del contratto sociale sessuale ha innervato una connessione stimolante tra la Agenzia de Asunto Precarios, spazio di autorganizzazione che proviene dall’esperienza di Precarias a la Deriva, ed il forum autorganizzato di Vida Independiente, composto da persone differentemente abili, sul legame tra cura, controllo e autonomia. Oltre questo tipo di iniziative, un altro processo impercettibile riguarda la produzione di memoria critiche che va prendendo forma in diversi luoghi: dalle reti di storia orale, inchiesta e scavo che stanno riscoprendo i morti anonimi della guerra civile spagnola e costruendo una controparte problematica della Ley de la Memoria Histórica (ARMH http://armhcuenca.org/armh.html), alle con-ricerche sul movimento antirazzista inglese degli anni ’80 che problematizzano la dimensione della governance multiculturale nel Regno Unito, passando per il lavoro in Slovenia del progetto ‘Erased’, sull’implosione del progetto jugoslavo e la amnesia sugli ultimi cinquant’anni imposta mediaticamente e politicamente nell’Est Europa. Questo insieme di progetti costruisce materialmente una dimensione sincronica della cooperazione in rete che mobilita diverse memorie minori in processi politici e costruisce una linea frastagliata di lotta per contrapporre un racconto molteplice su ciò che sta accadendo nel presente, alla costituzione di una Europa dalla memoria asimmetrica - acritica nell’vecchio Ovest, ed obbediente oltre le frontiere (anche quelle “crollate”).

 
Per concludere…

Questo dibattito è già aperto nei luoghi dei movimenti - nell’ultimo numero di Posse (La classe a venire), in alcuni recenti numeri ed articoli sciolti di Trasnform, come pure in dibattiti, assemblee e discussioni in giro per l’Europa. Per concludere riprendiamo l’idea di politiche impercettibili  come chiave di azione e di congiun­zione di un spazio variegato “in relazione alle esperienze impercettibili di possibilità e oppressione proprie del lavoro vivo” (Tsianos & Papadopoulos, 2006). Le forme politiche che emergono attualmente nella società europea, infatti, non possono muoversi secondo sentieri segnati e sarebbe improduttivo affidarsi alle linee civili della rappresentanza, di una relazione da fuori con le istituzioni. Queste nuove forme di vita debbono muoversi adattando la propria intelligenza alle variegate forme del potere, in un rapporto diretto e conflittuale con il governo, cercando di aprirsi spazi di autonomia, costruendo la propria potenza a partire dalla propria singolarità, traducendo tra loro esperienze diverse e costruendo ipotesi in linguaggi molteplici, mobilitando e producendo una memoria viva capace di contrapporsi alla figura immaginaria di un’Europa liscia e risolta. Per questo è importante continuare a costruire e connettere processi politici impercettibili, non dimenticando che questi progetti si articolano in territori ancora profondamente distinti e non ancora completamente frattalizzati, in cui le regole di ingaggio, i processi di propagazione delle mobilitazioni sociali rispondono ai modi particolari tanto delle dinamiche del potere come delle forme di organizzazione delle lotte. Guardando all’Europa degli ultimi anni abbiamo riconosciuto spesso una dinamica sociale intrappolata nelle logiche del capitale, in cui i movimenti sembrano incapaci di scuotersi e riprendere forza. Eppur,  a volte impercettibili come le lune di Galileo, si  muovono.

 
Bibliografia

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